In ambito archeologico, conoscere le cause del naufragio è utile per arrivare alla ricomposizione delle scafo e riconoscere eventuali aree di attività di recupero.
Uno dei momenti essenziali, seppur drammatici, perché una nave inizi la sua trasformazione in relitto, è il naufragio, ovvero, secondo la definizione più comune, l’affondamento di una imbarcazione per tempesta o altro accidente, con conseguente rovina totale o parziale della stessa.
In ambito archeologico, conoscere le cause del naufragio è utile per arrivare alla ricomposizione delle scafo e a seconda del trauma subito, riconoscere eventuali aree di attività di recupero. Tra le cause più comuni di naufragio si possono citare: il rovesciamento, l’incagliamento su scogli o secche, lo spiaggiamento, lo speronamento, l’incendio, il cedimento strutturale e l’auto-affondamento.
Tutte queste cause portano a una perdita del materiale trasportato; il carico, però, può essere perso anche volontariamente, ossia per via di un getto a mare degli oggetti, in primis le ancore, al fine di alleggerire lo scafo.
Ma non tutti i materiali si depositano sul fondo; a causa della loro diversa galleggiabilità, alcuni di essi vengono trasportati dalla corrente verso la costa, mentre altri si avviano a sprofondare immediatamente nel blu.
La posizione più tipica in cui i relitti vengono ritrovati è quella di navigazione, con lo scafo leggermente inclinato su un fianco, mentre il carico si trova raramente nella stessa posizione dello stivaggio. Una volta stabilitasi sul fondale, l’imbarcazione continua la sua fase di trasformazione in relitto; infatti, a causa della nuova natura dell’ambiente che la circonda, entrano in gioco processi fisici e biologici.
Fino a una profondità di circa quaranta metri, il moto ondoso pare essere l’agente principale della distruzione delle strutture della nave, seguito dall’imbibimento del legno e per ultimo, ma per questo non meno dannoso, dal lavoro della taredo navalis, ovvero un tarlo del legno che può ”operare” fino a duecento metri circa .
Da qui si può intuire che i ritrovamenti di un relitto antico riguardano, spesso, solo le parti inerenti al carico, perché poco fasciame si salva. Nonostante ciò, la forma che appare agli occhi degli archeologi, in fase di prospezione, è quella dell’imbarcazione, o quasi.Il motivo di ciò è da ricondurre al fatto che il relitto viene inglobato dall’ambiente circostante e non di rado può venire sigillato da uno spesso strato di concrezione; questa situazione, come precedentemente anticipato, è quella che fa assumere al giacimento da indagare la tipica sagoma ellissoidale, che può emergere dal fondale per due/tre metri.
Il fondale più idoneo alla conservazione di un relitto è senz’altro quello sabbioso. Questo a causa di un veloce processo di sprofondamento della sabbia che comporta una protezione del relitto stesso e del suo contenuto. Il fondale roccioso, invece, frequente sotto costa e presente fino a una profondità di trenta/quaranta metri circa, non offre alcuna protezione o possibilità di copertura del relitto. Anzi, molto spesso, in presenza di pareti degradanti, la nave affondata ha la tendenza ad appoggiarvisi e a scivolare verso il fondo, perdendo grandi quantità di carico e danneggiando la struttura. L’attività biologica, inoltre, particolarmente intensa su questo tipo di fondale, colonizza il materiale estraneo rendendolo spesso irrimediabilmente un tutt’uno con esso.