Uno studio scientifico e una scrupolosa ricerca archeologica, non può prescindere dal condurre accurate analisi dei manufatti riportati alla luce, veri e propri fari degli archeologi per orientarsi nello spazio e nel tempo.
Si pensi alla guida fondamentale che può rappresentare il ritrovamento di una moneta in uno scavo. Ma anche la forma e le decorazioni dei lavorati sono indici temporali e spaziali di grande rilievo, sebbene spesso le cosiddette “varianti locali” e le imitazioni di scuole principali possano creare agli studiosi forti imbarazzi. E’ in questi casi che si deve ricorrere allora a strumenti quali l’archeometria, ovvero l’analisi chimica e mineralogica del materiale usato per la produzione dei manufatti stessi, in modo da individuarne la provenienza con maggiore precisione.
Un discorso più approfondito meritano i contenitori da trasporto: le anfore. Esse rientrano nella categoria generica dei “manufatti”, in quanto opere dell’Uomo, ma costituiscono allo stesso tempo una classe a sé stante. Fossili guida per gli archeologi, questi contenitori venivano spesso abbandonati una volta giunti in porto poiché non adatti a un successivo trasporto, soprattutto via terra. Il loro abbandono ha generato grandi e preziosi depositi archeologici, classificabili per provenienza e merce trasportata.
– LE ANFORE
Le anfore rappresentano la percentuale maggiore dei materiali rinvenuti. Con il termine anfora si intende un contenitore in terracotta con corpo affusolato, con due anse verticali, utilizzato per la conservazione e il trasporto di sostanze alimentari; fin da epoca antichissima, infatti, esse venivano utilizzate per commercializzare, soprattutto via mare, diversi prodotti alimentari, in particolare vino e olio.
Anfore (foto da http://www.regione.sicilia.it)
La difficoltà di datazione delle anfore dipende essenzialmente dal fatto che, nel corso del tempo, la loro forma tipica, o base, è rimasta pressoché costante: collo allungato per permetterne la chiusura; fondo a punta per consentire, insieme alle anse, un punto di presa durante le operazioni di stivaggio, spostamento o svuotamento. Le diverse parti che le compongono venivano prodotte singolarmente e unite prima della cottura. Il corpo veniva lavorato per mezzo di un tornio, mentre per le anse si ricorreva alla manualità e alla bravura del costruttore. Spesso alla base delle anse si possono ancora riconoscere le impronte dei polpastrelli usati per pressare.
Grazie alla grande quantità in cui le anfore vengono ritrovate, è stato possibile determinare classificazioni tipologiche particolareggiate, strumenti indispensabili per fornire una datazione relativa anche ai siti in cui esse vengono rinvenute e agli altri manufatti presenti in loco. Per questo le anfore rappresentano il fossile guida per gli archeologi.
La classificazione tipologica dei reperti viene effettuata sulla base di alcune caratteristiche degli stessi oggetti:
- caratteristiche della superficie (comprese decorazioni e colore)
- caratteristiche della forma (dimensioni e forma vera e propria)
- caratteristiche tecnologiche (materie prime)
Gli oggetti che mostrano di possedere delle caratteristiche simili, vengono raggruppati in tipi.Le classificazioni tipologiche più usate per i contenitori da trasporto mediterranei sono la tavola Dressel e la Lamboglia-Benoit.
Un ulteriore e prezioso aiuto agli studiosi arriva dagli stessi produttori dei contenitori tramite iscrizioni, bolli e graffiti. Tutti elementi che permettono con certezza di identificare la provenienza e il contenuto del recipiente, e di tracciare e identificare le rotte e le epoche dei vari commerci.– LE ANCORE
Tra i materiali archeologici rinvenuti in mare, il primato di ritrovamento più frequente spetta senz’altro ad anfore e ancore.
L’àncora era ed è uno strumento indispensabile per le navi e il suo utilizzo ha origini antichissime. Fornire una data approssimativa di quando l’uomo ha iniziato a utilizzare tale strumento è alquanto difficile poiché il Mediterraneo fu solcato da imbarcazioni a partire già dall’VIII millennio a.C. Tuttavia i reperti più antichi rinvenuti vengono fatti risalire al III millennio circa.
Il materiale usato per la loro fabbricazione era la pietra, a cui generalmente veniva data forma arrotondata o troncopiramidale, con l’aggiunta di un foro a cui era legata una fune.
Le tecniche di lavorazione della pietra e i modi in cui veniva praticato il foro (spesso erano presenti più fori all’interno dei quali venivano sistemati dei pezzi di legno) sono alcuni indici di datazione del materiale; ma anche la presenza di graffiti o iscrizioni sui corpi litici hanno permesso di datare i reperti e spesso di risalire anche all’area geografica di provenienza.La prima trasformazione che le ancore hanno subito per il migliorarne le prestazioni, consentendo cioè un maggiore appiglio al fondale e rendendole già simili a quelle moderne, è stata l’applicazione al ceppo litico di una trave di legno con due marre piegate (i due caratteristici uncini). Questa forma venne introdotta in Grecia a partire dal VII sec. a.C.
Successivamente, introno al IV sec., l’aumento della produzione del piombo e la sua perdita di valore ad appannaggio del più nobile argento, porterà a utilizzare il metallo in sostituzione della pietra. Il vantaggio fornito dal piombo derivava da più fattori: era più pesante a parità di volume; era più facilmente lavorabile e infine si concrezionava molto meno rispetto alla pietra.
L’ultimo cambiamento strutturale avvenne in seguito, con la sostituzione del piombo con il ferro.
Come spesso accade, però, è probabile che le ancore in piombo siano state utilizzate ancora per lungo tempo, sebbene in contemporanea con quelle in ferro, sempre più diffuse per via della maggiore reperibilità e del basso costo del materiale. Questa compresenza sembra perdurare fino in epoca bizantina, dove si registra un numero sempre maggiore di ancore in ferro con le marre posizionate nella caratteristica forma a “W”.
– I RELITTI
La navigazione, nel trasporto delle merci, ha avuto nella storia dell’uomo un ruolo sempre fondamentale: il rapporto tra il costo del trasporto via mare, in relazione alla quantità stivabile, è sempre stato di gran lunga più vantaggioso rispetto al trasporto via terra, ovvero a trazione animale. I carri, molto lenti, non avevano certo la stessa capacità di carico di una stiva, e la manutenzione delle strade, o la costruzione di una nuova via, avevano costi altissimi rispetto alla costruzione di un’imbarcazione. La nave era però esposta alle intemperie atmosferiche e a tutti i rischi della navigazione i quali spesso comportavano il naufragio o la perdita del carico. Non di meno essa rappresentava il metodo più usato. Per gli studiosi i reperti trovati in mare, rappresentano dunque una fonte insostituibile di verifica storica.
I relitti, infatti, rivestono una particolare importanza poiché dalla composizione dei loro carichi è possibile individuarne la provenienza, la destinazione e stabilirne la datazione. I rinvenimenti sottomarini sono la testimonianza di processi economici in movimento; inoltre, nel momento del naufragio, la vita del sito si ferma in quell’istante, senza subire mutazioni dettate dal riutilizzo del materiale, o dalle trasformazioni di età successive.